Io e Gregorio abbiamo la stessa storia.
Non proprio.
Entrambi a 3 anni abbiamo solcato per la prima volta la piscina. Corso di acquaticità. Stesso inizio travolgente.
Non proprio.
Sia io che lui amiamo molti sport come il basket che sembrava essere il sogno da inseguire.
Giocare nell’NBA.
Stesso sogno.
Non proprio o forse si.
Le corsie della piscina sono regolari, ti portano a seguire la strada sempre uguale. Avanti e indietro.
Per ore.
Per giorni.
Per anni.
Il sacrificio nel nuoto si sente negli allenamenti la mattina, intere giornate passate in vasca.
Avanti ed indietro.
L’ho provato anche io, fino ad odiare l’odore dell’acqua.
Fino a farsi la doccia per togliere il cloro come se non facesse respirare.
Fino ad asciugarsi, vestirsi e scappare a studiare.
Fino a ricominciare il giorno dopo con la stessa voglia anche quando era meno.
Questo fa la differenza.
La testa fa la differenza.
Ma non solo.
Ho gli incubi. Ce li ho da quando so di aver vinto tutto.
Arrivano all’improvviso.
Mi sveglio di soprassalto convinto di non aver ancora conquistato l’oro alle Olimpiadi di Rio.
Peggio.
Di non potercela fare e di deludere tutti coloro che per troppi mesi l’avevano dato per scontato. Mi succede perché vincere quella medaglia era diventata per gli altri una semplice formalità e per me una questione di vita o di morte.
Una semplice formalità.
È questo quello che crede chi non vede e rispetta il talento.
Gregorio ne ha di talento e sa che non è facile traformarlo in medaglia.
Devi dare tutto.
Lo so anche io.
Gregorio ha vinto tutto nel nuoto.
Io no. Non ho continuato con il nuoto.
Riconosco quegli incubi, riconosco il talento, riconosco il desiderio ed i sogni di un atleta.
È il mio lavoro.
Nuota Gregorio, non smettere perché quello è il tuo destino.
Continua a condividere i tuoi pensieri che danno aria ad altri atleti ogni volta che hanno la faccia. Sotto il pelo dell’acqua.
Una medaglia pesa come il talento ma questo lo sai.
È questo il bello di non avere la stessa storia ma scriverla la stessa storia insieme.
Io non conosco Gregorio, e Gregorio non conosce me.
Ma questo accade con ogni atleta che seguo.
È il conoscersi che permette all’atleta di trasformare il suo talento in medaglia e a me di accompagnarlo nel farlo.
Quando salirà sul podio si chiuderà il cerchio e tutti conosceranno l’atleta, non me.
Ma questo è il destino ed il ruolo del coach ed è questo decisamente il bello.
Gregorio hai la pelle azzurra, di questo ne sono sicuro.